Speciali | L'invasione "mediatica" degli Space Invaders

Dovremmo prepararci ad accoglierla anche noi.

Che cos'è? Si tratta di un progetto, o meglio un'iniziativa, che ha come fine quello di liberare l'arte dalle costrizioni museali, dai luoghi chiusi per fare trovare ad essa una via di uscita più libera e, per così dire, più areosa.

Gli anni 70 e 80 sono anni di sviluppo per l'industria del gaming e proprio in quegli stessi anni ci furono alcuni videogames che presero piede come Pac-Man degli anni 80 oppure Tetris del 1984. Sembra dunque più che normale parlare di un'età dell'oro dei videogames, soprattutto, se si prende in considerazione proprio l'anno di nascita degli Space Invaders, visto che dal 1983 inizia un periodo un po' critico per i videogiochi.

Di certo, molti si ricorderanno proprio degli Space Invaders, di quei “mostricciattoli” che bisognava per forza eliminare nel videogame arcade del 1978. I mostriciattoli alieni che ci hanno affascinato con i loro pixel, furono creati e sviluppati da Toshihiro Nishikado, laureato in ingegneria, si specializzò soprattutto in circuiti per le televisioni. Nishikado che oggi ha 71 anni ci ha regalato uno tra i videogiochi più famosi e rilevanti al mondo.

Eppure quando decise di entrare a far parte della Taito, non avrebbe mai pensato di occuparsi di video game. Il successo lo colse in modo inaspettato e si sa, che a volte accade così.

In una intervista del 2013 comparsa su un noto quotidiano, Tomohiro Nishikado ha rivelato la sua incapacità di giocare con i videogames, cosa davvero strana per il creatore di quello che fu il videogioco per eccellenza degli anni 70. Un segreto che è riuscito a conservare per 35 anni e che solo due anni fa ha deciso di condividere con i propri lettori.

Forse, qualcuno potrebbe pensare che questa sua dichiarazione potesse essere legata ad un difficoltà dipesa dall'età, ma il fatto che Nishikado abbia voluto affermare soltanto adesso di non essere mai riuscito ad andare oltre al primo livello, potrebbe incoraggiare tutti quelli che non sono mai riusciti ad arrivare alla fine del gioco.

L'apparente semplicità del videogame nasconde in realtà una difficoltà che non è indifferente. I più famosi alieni di pixel vennero concepiti per essere disegnati con dei tratti semplici e lineari, compatibili con le timide capacità computazionali del periodo, ed è proprio per questo che hanno avuto tutto il successo che ancora meritano.

Ciò su cui si vuole porre qui l'accento è che gli Space Invaders non sono soltanto degli alieni da eliminare per acquisire punteggio (cosa per cui non tutti potrebbero essere d'accordo) poiché esiste anche un interessante progetto, lo Space Invaders Project.

Che cos'è? Si tratta di un progetto, o meglio un'iniziativa, che ha come fine quello di liberare l'arte dalle costrizioni museali, dai luoghi chiusi per fare trovare ad essa una via di uscita più libera e, per così dire, più areosa.

Per questo progetto l'importante è tradurre l'arte in libertà. Gli Space Invaders, infatti, intendono creare arte nei luoghi più strani delle città utilizzando la tecnica del piastrellamento simile all'antica tecnica del mosaico che si discosta da essa solo per gli oggetti, o meglio per le immagini rappresentate.

Il soggetto è l'attore di questa invasione artistica delle città che non riguarda solo gli Stati Uniti ma anche il resto del mondo, Europa, Asia, America del Sud, Africa e Australia. In totale le città invase sono 65 e ogni città ha un suo punteggio che va da 10 a 100 a seconda di ogni nuovo mosaico installato.

In un'epoca in cui la tecnologia è al centro di tutto, queste “creature pixelliane” - cioè fatte di pixel - sono come delle opere d'arte, diventando delle icone originali. Sotto tutti gli aspetti, gli Alieni Digitali si trasformano in mosaici reali, con delle sembianze che si rifanno proprio a quelle dello sviluppatore Taito, il papà del noto videogame.

L'importante per Space Invaders Project è dimostrare che si è stati in quel luogo e che si è voluto lasciare come souvenir il proprio Space Invader. Il tutto funziona proprio come nel videogame, anche se al posto dell'ambiente digitale, si ha come luogo d'azione una realtà urbana.

Se si è stati nella stessa città già una volta, non è affatto un problema, perché il bello è sia creare dei mosaici nuovi, sia riuscire a scoprire che sono apparsi magicamente altri space invaders magari lasciati precedentemente da altri “invasori”.

Non si tratta di una gara, è semplicemente un game, o meglio un nuovo modo di fare gaming con arte. Al centro di tutto il progetto c'è la propria personale iniziativa e la voglia di entrare a farvi parte attivamente.

Speriamo solo che questa forma d'arte abbia continuità anche per il prossimo anno e che le creature nate da questo bel progetto non debbano finire per essere rimosse dalle autorità perché si tratta solo di una forma moderna e giocosa di mosaico. Come dire, l'anno sta per finire ma...The game is not over.

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